Associazione Juppiter, l’obiettivo è insegnare l’italiano
E’ la realizzazione di un sogno. Così esordisce Pietro Nocchi, socio dell’associazione culturale che in orario scolastico svolge corsi di italiano per alunni stranieri in undici scuole disseminate nel viterbese, gestisce tre doposcuola a Viterbo, Capranica e nella biblioteca comune di Blera e sulle colline di San Martino promuove iniziative eco sostenibili.
Nella sede di Viterbo, ampie stanze luminose e pareti di un arancione acceso, da quattro anni Juppiter condivide lo spazio con il centro anziani. “Volevamo coinvolgere i giovani in maniera transnazionale”, racconta Simone Firmani, laurea in filosofia e una passione per i fumetti “così abbiamo inventato corsi su vari argomenti, cucina, falegnameria, erbe medicinali. Si sono iscritti molti ragazzi stranieri e quest’anno per la prima volta abbiamo aperto anche a Viterbo un corso d’italiano”.
L’appuntamento è alle 15.30, i più puntuali arrivano dalla Romania e dalla Moldavia, seguiti da brasiliani, bengalesi ed albanesi. “Sono circa 15-16 allievi, e con loro stiamo portando avanti in maniera produttiva un corso ben strutturato” dice Silvia Guerrini l’insegnante. Seduti in classe con carta e penna, pronti a prendere appunti, si presentano. Fratello e sorella vengono dalla Moldavia, un ragazzo dalla Romania, due dal Bangladesh, alcuni dall’Albania, altri dall’America, due brasiliane madre e figlia.
Qualcuno è arrivato in Italia da pochi mesi, ma c’è anche chi vive nel nostro paese da 4 anni. Nel corso della lezione le difficoltà maggiori con la lingua italiana assumono connotazioni geografiche. Un moldavo ammette “le doppie proprio non riesco a metterle, mi sfuggono in continuazione e quando penso di aver capito il meccanismo ecco che spunta una parola nuova!” L’amico rumeno non ha dubbi “la cosa più difficile è l’analisi grammaticale ma con Silvia ci sto riuscendo, lei spiega tutto con grande calma e riesco a seguire bene” e allarga un sorriso. Per le brasiliane la pronuncia della “s” e della “z” è un incubo “non c’è niente di simile nella nostra lingua”. Silvia spiega che, per i colombiani, aggiungere la vocale “e” a parole che iniziano con la “s” sorda è praticamente prassi. “Ecco dunque che abbiamo escusami, mentre per i bengalesi distinguere i suoni “chi” e “che” è davvero complesso”.
“Cerco di renderli in grado di cavarsela in circostanze di vita reale, dal medico, nel negozio di alimentari o al cinema, ma ancora c’è il blocco di chi soprattutto ha paura di sbagliare” evidenza Silvia. Si tratta d’altronde di un corso finalizzato al raggiungimento del primo livello (A1), per cui la strategia migliore è procedere parallelamente con la grammatica e la simulazione di situazioni concrete. Capita di discutere di amore, amicizia, religione, per conoscersi meglio. Per tutti l’amico migliore è rimasto nel paese d’origine, malgrado ciò nessuno ha davvero voglia di ritornare a casa. L’anima del corso di italiano sta nella voglia di confrontarsi sul paese ospitante. “Cosa mi piace dell’Italia? Beh, tutto!”.
Piera Francesca Mastantuono
(30 aprile 2014)
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